L’inizio è sempre l’atto più difficile

L’inizio è sempre l’atto più difficile

L’inizio è sempre l’atto più difficile, il momento più delicato di qualunque vita, evento, storia, canzone o racconto, poesia.

L’inizio di una vita, l’inizio di un’idea, il momento prima di qualcosa che non c’è e poi è lì, si tocca, si vede, si legge e ne godiamo o subiamo le conseguenze.

Non è un caso, appunto, che la parola “inizio” sia, nella sua etimologia stessa, una grande metafora: initium, in-ire e quindi “andare in”, entrare in qualcosa che ha già un suo percorso spazio-tempo che scorre, solo apparentemente indipendente, per diventarne un elemento nuovo, iniziale, una scintilla improvvisa, che prima non c’era e poi diventa una variabile che può movimentare qualcosa su quella stessa linea.

E spesso può movimentare l’ecosistema in cui si innesta e dare vita e movimento a eventi che senza quell’inizio non avrebbero avuto modo di generarsi o esistere.

La nascita stessa è un inizio, è un “entrare in”, un irrompere dirompente per rompere un interno e inserirsi in un esterno, in una storia, che come conseguenza cambierà.

La Vita è fatta di momenti diversi e di versi che sono, a volte, essi stessi degli incipit perché dirompono nei nostri giorni, nel nostro tempo e, aggiungendo o sottraendo qualcosa, destinano il nostro percorso ad un finale diverso da quello che sarebbe stato senza quella irruzione.

Naturalmente non so quanto questi destini fossero percorsi già scritti o se questi interventi, fatti di una qualche forma di novità anarchica e incontrollabile, fossero parte anch’essi del destino.

Il destino: quel momento finale di un qualcosa che già esiste e ha un suo percorso, che “sta” ed è prestabilito e si mostra sotto forma di sequenza di eventi predefiniti, intermedi e legati da effetto causa-effetto.

L’inizio è di sicuro, però, la parte più importante, quella necessaria perché ogni cosa possa poi esistere e estendersi lungo la linea del tempo: et per consequens incipere.

Qui forse troviamo il motivo dell’incipere e cioè “per consequens”: una forma immaterica decide di manifestarsi perché ha la necessità di andare avanti, di proseguire assieme ad altro in cui va ad innestarsi.

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